La guerra in Ucraina e le responsabilità dei paesi Ue per un sistema di difesa europea

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Il weekend scorso ha portato a un’incredibile svolta in Germania. Il cancelliere Scholz, contraddicendo decenni di policy del suo partito e del suo paese, ha annunciato che sta per mobilitare una tantum 100 miliardi di euro in campo militare e porterà la spesa per la difesa in percentuale al PIL oltre il 2%. Una mossa a lungo richiesta dagli altri membri NATO e diventata una rivendicazione cruciale della presidenza Trump, legata alla minaccia di far uscire Washington dall’organizzazione.

La Germania rispetterà dunque il suo impegno. Lo farà, però, perché ha avuto un brusco risveglio. Il suo esercito versa in condizioni disastrose, piagato da anni di scandali e da una efficienza operativa risibile. La proiezione della forza economica del paese non può più fare a meno di una adeguata proiezione di forza militare.

L’Italia si deve unire alla Germania, e farlo ora. Siamo ancora più indietro, rispetto ai tedeschi, all’1.41% del PIL. E molta di questa spesa è in stipendi, con un apparato burocratico mastodontico rispetto alle capacità operative. Generali senza esercito, all’italiana. Dalla nostra abbiamo però delle Forze Armate in condizioni migliori, siamo l’unico paese europeo ad avere contemporaneamente F35 e portaerei da cui farli volare. Ma possiamo certamente fare molto di più. E dobbiamo farlo ora, in ultima analisi, perché ora sta di fatto nascendo, per ragioni di drammatica necessità, un embrione di esercito europeo.

La condivisione, specializzazione e interoperabilità delle truppe dei paesi dell’Unione è un tema ineludibile. Ed è altrettanto rilevante immaginare nel quadro europeo uno strumento militare comunitario, che risponda direttamente alle istituzioni dell’Unione e abbia un’autonoma operatività, in un quadro di complementarità e di differenziazione, non di competizione con la Nato. È importante farsi portatori di questa istanza in Europa e nel dibattito nazionale, ma è altrettanto importante iniziare a prepararsi fin da ora a qualcosa che, prima o dopo, avverrà. Perché nella sostanza ha già avuto l’atto fondativo in questi tormentati giorni.

La priorità nazionale, in ogni caso, deve essere sia l’aumento organico delle truppe ma soprattutto l’aumento delle forze operative rapidamente impiegabili, preparate all’intervento e al deployment immediato. Gli armamenti, la forza navale e quella aerea sono centrali per un paese dominante geograficamente come il nostro in uno spazio conteso.

Il raggiungimento definitivo della superiorità navale nel Mediterraneo è certamente tra le priorità. Non si tratta solo di potenza militare, ma di migliorare e integrare il pattugliamento e l’operatività umanitaria all’interno del bacino del Mediterraneo Centrale, dove cambiamento climatico e migrazioni economiche porteranno forte instabilità. L’Italia non può più permettersi di venire meno ai doveri di salvataggio in mare e su questo punto la capacità di proiezione massiccia prossimale alle coste africane è centrale.

In ultimo, non scordiamoci gli aspetti benefici degli investimenti in infrastrutture e attrezzature, oltre che in ricerca. L’esempio di paesi come gli Stati Uniti dimostra la grandissima capacità della ricerca militare di far avanzare la tecnologia, anche a scopi civili. E l’industria italiana non può che beneficiarne. Solo oggi, Leonardo ha aperto a +13% a Milano sulla scorta dell’annuncio tedesco. Più spesa, più sicurezza, più lavoro. Una maggiore integrazione delle politiche e degli strumenti di difesa potrebbe anche promuovere l’integrazione dell’industria militare del continente, con l’Italia protagonista. Dimostriamo che anche su questo, l’Italia c’è!

 

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