PERCHÉ UN NUOVO MOVIMENTO

Gli anni della pandemia hanno dimostrato che c’è un’Italia capace di affrontare le difficoltà con dignità e coraggio. Un’Italia migliore dei suoi stereotipi, che sa rialzarsi, scommettere sul futuro e competere a livello mondiale. A questa Italia bisogna offrire l’opportunità di guardare alla politica come a qualcosa di serio e concreto, per cui impegnarsi.

“Viviamo un vero e proprio cambiamento di epoca”. Oggi più che mai occorre una politica che sappia promuovere e interpretare questo cambiamento e si opponga a chi, invece, vorrebbe ridurre la stagione di ricostruzione nazionale del governo Draghi a una parentesi tra un prima e un dopo uguali tra loro.

Passata l’emergenza, per l’Italia viene il momento della ricostruzione. Nelle italiane e negli italiani ci sono le energie, la creatività e la passione per ripartire. A loro bisogna offrire la possibilità di guardare alla politica con occhi diversi e di affidarsi a un movimento che intende riconfigurare la politica del nostro Paese, trasformandola da urlata a dialogante, da lenta a dinamica, da inconcludente a concreta, da respingente ad attrattiva.

L’ULTIMO TRENO

Un ritorno allo schema politico pre-pandemico non può essere possibile per un Paese che ha bisogno di proseguire il cambiamento avviato con l’agenda Draghi. Pertanto, occorre impegnarsi perché la straordinaria opportunità offerta dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza rappresenti un impegno anche per la prossima legislatura e i futuri governi.

Il PNRR è l’ultimo treno che passa per il nostro Paese. Se verrà realizzato nei tempi e nei modi previsti, l’Italia tornerà a essere nel gruppo dei Paesi più prosperi e avanzati del pianeta. Se questa occasione di riforma e investimento nel futuro verrà sciupata, lasceremo nelle mani dei più giovani una montagna insostenibile di debiti e promesse mancate. Non bisogna permetterlo.

È il momento – dopo le seconde e terze repubbliche deboli e confuse – di costruire una Repubblica nuova che restituisca legittimità e dignità alla democrazia e alla politica, che riaffermi il ruolo dell’Italia come Paese fondatore e guida del processo d’integrazione europea; un Paese efficiente, che protegga i cittadini e il loro diritto a una vita di soddisfazione e benessere. Per questo, è urgente riscrivere il patto tra cittadini e Stato, rinnovando e aggiornando la Carta costituzionale per ridarle forza e solidità.

È il momento di superare sterili ideologismi, rimettere al centro la concretezza delle idee che si trasformano in azioni. Lo spazio dell’Italia è quello della società aperta di cui bisogna promuovere i valori e gli ideali di libertà, in contrapposizione alla chiusura e alla paura alimentate da sovranismi e populismi.

FUTURE GENERAZIONI

Vogliamo che i più giovani siano finalmente protagonisti. Con loro e per loro bisogna realizzare politiche concrete. I loro diritti, a partire da ambiente e istruzione, devono essere al centro dell’agenda politica. Tutte le scelte devono tutelare l’equità tra le generazioni, per non scaricare sul futuro i costi delle scelte di oggi, sia finanziarie che ambientali.

Lavoriamo per un nuovo patto generazionale, con una visione e un programma che partano dalla considerazione di ciò che è giusto nel lungo periodo e non di ciò che è conveniente per i sondaggi del giorno dopo. Per troppi anni si sono imposte politiche economiche inefficienti e refrattarie al cambiamento, di puro scambio di rendite e privilegi, che si sono tradotte in debito pubblico a carico delle future generazioni.

Occorre mettere al centro gli interessi dei più giovani per garantire loro il diritto allo studio, un lavoro e la concreta possibilità di emergere. La partita nazionale si gioca qui: se i figli e i nipoti avranno almeno le stesse opportunità godute dai padri e dai nonni, allora l’Italia, oltre che bella, continuerà a essere anche un luogo prospero e attraente.

PREMIARE IL MERITO, RICUCIRE I DIVARI

Ci impegniamo a realizzare una società più inclusiva e meritocratica, con un’economia dinamica, libera dall’asfissiante cappa dell’assistenzialismo e della burocrazia. Una società in cui sviluppo e welfare non siano considerati concetti contrastanti, ma dimensioni inscindibili dell’azione politica.

Non si può distribuire ricchezza senza prima crearla, valorizzando il talento e le capacità di ognuno. Allo stesso modo, se non si riducono le diseguaglianze tra i più forti e i più deboli e se non si distribuisce il benessere, la crescita diventa insostenibile. Bisogna ricucire fratture e divari per restituire a tutti pari opportunità di partenza.

Facciamo dell’Italia il Paese della solidarietà e dell’inclusione. Per permettere al singolo di coltivare ambizioni e progetti bisogna sostenere la famiglia in ogni sua forma. Valorizzare la famiglia significa anche aiutare le giovani coppie e favorire la natalità significa cambiare i tempi delle città e del lavoro affinché il benessere della persona sia al centro della nostra organizzazione sociale ed economica.

Pubblico e privato devono cooperare per lo sviluppo materiale e immateriale della comunità. Lo Stato ha il dovere di regolare il mercato, assicurare la concorrenza ed elevati standard dei servizi pubblici. Le istituzioni devono garantire risorse in investimenti strategici per lo sviluppo e incentivare la creazione e la cooperazione delle imprese, in particolare nelle aree più depresse del Paese. Stimoli e incentivi pubblici però devono essere limitati nell’intensità e nel tempo, per non trasformarsi in assistenza.

SOSTENIBILITÀ È BENESSERE

Facciamo dell’Italia il Paese della sostenibilità, migliorando la qualità della vita in tutti i suoi aspetti fondamentali – la salute, l’ambiente, l’istruzione, la sicurezza, la socialità e la cultura – per un benessere diffuso in tutto il Paese, dai centri alle aree periferiche, da Nord a Sud.

Periferie, piccoli paesi e aree interne costituiscono il volto più autentico dell’Italia. Far raggiungere a queste realtà il livello di sviluppo e servizi delle grandi città è una priorità, così anche colmare il divario del Mezzogiorno, per offrire opportunità a tutti i cittadini e nuovo slancio al Paese.

L’economia ambientale crea nuova occupazione. Costruire obiettivi sfidanti a livello globale è urgente e necessario, come lo è governare la transizione e i suoi risvolti sociali e occupazionali. Vogliamo far uscire l’Italia dall’età del carbone senza farla ripiombare nell’età della pietra. Bisogna occuparsi della crisi climatica e del degrado dell’ambiente con tutti i mezzi che la scienza, il mercato e l’intraprendenza umana mettono a nostra disposizione.

Nelle scelte energetiche, nella tutela del nostro mare e dei bacini di acqua dolce, nell’agricoltura e nel rapporto con la fauna metteremo sempre i numeri prima dei pregiudizi e punteremo a raggiungere gli obiettivi più che ad alimentare propaganda. Le politiche ambientali, se ben fatte, creano occupazione, indipendenza e libertà. È un’occasione che non dovrà essere sprecata.

TRANSIZIONE ECOLOGICA

L’Italia ha tutte le risorse per diventare la prima grande nazione alimentata a energia pulita e a impatto zero sull’ecosistema. Abbiamo abbondanza di sole, un buon potenziale dal vento, boschi in rapida crescita e un robusto parco di dighe e abbiamo tutto l’interesse a dipendere il meno possibile dall’estero per petrolio, metano e altre materie prime, di cui invece la sorte ha reso povera l’Italia.

L’Italia ha anche tutto l’interesse a mettersi alla testa della lotta globale al cambiamento climatico, che è la “corsa allo spazio” dei nostri tempi. Siccità, scarsità d’acqua, eventi climatici estremi con frane e alluvioni, spiagge sommerse, incendi, fusione dei ghiacciai la minacciano già oggi, e tra due generazioni l’avranno resa irriconoscibile. Per non parlare dei milioni di profughi dai Paesi africani che avranno subìto poco prima la stessa sorte e che, comprensibilmente, cercheranno un porto sicuro sulle coste italiane.

Dobbiamo risolvere e superare l’auto-sabotaggio che il Paese si è inflitto per decenni sulle politiche ambientali. La burocrazia impantana la diffusione di eolico e solare mentre inchieste-spettacolo e comitati di protesta paralizzano qualsiasi progetto di trasformazione.

Dobbiamo archiviare la stagione delle ricette miracolose imposte dall’alto e rendere fluida e spontanea la partecipazione di aziende e cittadini alla transizione verde. Bisogna promuovere una corsia preferenziale per dare tempi certi e regole chiare a chi investe in un grande impianto rinnovabile o in altre opere utili all’ambiente. Bisogna investire nella formazione di tecnici per favorire e assistere la nascita di comunità energetiche.

Periferie, piccoli paesi e aree interne costituiscono il volto più autentico dell’Italia. Far raggiungere a queste realtà il livello di sviluppo e servizi delle grandi città è una priorità, così anche colmare il divario del Mezzogiorno, per offrire opportunità a tutti i cittadini e nuovo slancio al Paese.

L’economia ambientale crea nuova occupazione. Costruire obiettivi sfidanti a livello globale è urgente e necessario, come lo è governare la transizione e i suoi risvolti sociali e occupazionali. Vogliamo far uscire l’Italia dall’età del carbone senza farla ripiombare nell’età della pietra. Bisogna occuparsi della crisi climatica e del degrado dell’ambiente con tutti i mezzi che la scienza, il mercato e l’intraprendenza umana mettono a nostra disposizione.

Nelle scelte energetiche, nella tutela del nostro mare e dei bacini di acqua dolce, nell’agricoltura e nel rapporto con la fauna metteremo sempre i numeri prima dei pregiudizi e punteremo a raggiungere gli obiettivi più che ad alimentare propaganda. Le politiche ambientali, se ben fatte, creano occupazione, indipendenza e libertà. È un’occasione che non dovrà essere sprecata.

INNOVARE IL LAVORO

Il lavoro è la grande questione del nostro tempo. Le trasformazioni tecnologiche hanno rivoluzionato il modo di pensare e organizzare il lavoro, che oggi richiede maggiori e sempre più specifiche competenze. D’altra parte, con una produzione sempre più automatizzata, il pensiero umanista e la creatività hanno assunto una rinnovata centralità.

Trasformiamo il lavoro e rendiamolo davvero smart, creativo e più produttivo. Grazie alla tecnologia è possibile riorganizzare il lavoro riducendone orari e vincoli, ad esempio adottando la settimana corta di lavoro – quattro giorni in luogo di cinque – a parità di salario. È anche il momento di promuovere la coesione sociale, in luogo del vecchio conflitto tra capitale e lavoro, realizzando forme di condivisione degli utili e di scelte strategiche tra imprese e lavoratori e riducendo il gap di retribuzione tra uomini e donne.

Bisogna riconoscere a chi si guadagna da vivere col lavoro, sorreggendo sulle sue spalle l’intera comunità, il giusto godimento dei frutti del suo impegno. Per questo vogliamo abbassare radicalmente le tasse sul reddito da lavoro.

Un ruolo centrale dovrà esser quello della formazione e della riqualificazione dei lavoratori compiendo anche scelte coraggiose quali il subordinare l’erogazione di fondi pubblici a criteri meritocratici, basati sui dati di placement degli enti formativi, al fine di utilizzare i “giacimenti occupazionali” sprecati. Bisogna tutelare il diritto a una formazione continua ed efficace.

UNA FORZA ANTIMAFIA

Uno dei prerequisiti per lo sviluppo del Paese post pandemia è che tutta l’azione legislativa, esecutiva e amministrativa sia orientata ad azioni coraggiose di prevenzione delle infiltrazioni criminali, in particolare delle mafie.

Per prevenire il pericolo che le organizzazioni criminali intercettino e riciclino i fondi nazionali ed europei per il rilancio del Paese, sottraendoli di fatto alle famiglie, alle imprese e ai lavoratori italiani, tutta l’azione per la crescita va immaginata contemporaneamente anche come azione di contrasto alla criminalità organizzata.

È impossibile promuovere lo sviluppo sostenibile delle attività industriali, del tessuto produttivo inteso in senso lato e delle libere professioni in un contesto di insicurezza, povertà educativa e concorrenza sleale delle attività illecite.

Per questo motivo il nostro Paese ha bisogno di una classe dirigente che non tratti l’antimafia come argomento da convegni, orpello da cerimonie o retorica identitaria, ma come stella polare dell’azione politica. La presenza diffusa della criminalità organizzata nel tessuto sociale ed economico italiano rappresenta infatti il più pericoloso ed evidente disincentivo alla crescita delle nostre comunità.

Costruire un Paese all’altezza delle grandi sfide dei nostri tempi significa dunque in primo luogo combattere, circoscrivere e progressivamente marginalizzare la presenza criminale nella società e nell’economia legale. Se le mafie mettono al centro il denaro, un modello antimafia mette al centro le persone. Se la mafia promuove “cartelli” e genera concorrenza sleale, alterando il mercato, un modello politico antimafia promuove la trasparenza, la piena e diffusa legalità e regole chiare di accesso al mercato per tutti.

LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA PER LA RIPRESA DELL’ITALIA

L’amministrazione della giustizia è stata negli ultimi decenni al centro dei più violenti scontri di potere e ai margini di qualunque serio progetto di riforma. Eppure l’inefficienza e l’inaffidabilità del sistema giudiziario, di cui i tempi dei processi rappresentano solo la manifestazione più eloquente, costituisce una delle ragioni fondamentali del declino economico italiano.

D’altra parte in Italia sono incerti i tempi e i modi della giustizia, perché sono molto spesso incerte e contraddittorie le norme che il potere giudiziario è chiamato ad applicare. L’arbitrarietà della giustizia compromette l’effettività dei diritti riconosciuti ai cittadini e comporta conseguenze negative su ogni forma di attività economica e sociale, che debba ricorrere per la propria tutela a una forma di giurisdizione. Questo spiega perché al PNRR siano state collegate una serie di riforme dell’ordinamento giudiziario, del sistema processuale e dell’organizzazione degli uffici (personale, edilizia e digitalizzazione). La ripresa dell’Italia è indissolubilmente legata alla riforma della giustizia.

Procedere rapidamente su questi dossier, in cui, per ammissione della Ministra Cartabia, l’Italia ha assunto impegni inferiori a quelli richiesti dalla Commissione Ue, significa anche affrontare il tema della autoreferenzialità e irresponsabilità del potere giudiziario, che, al riparo dei principi di autonomia e indipendenza, rivendica da anni un potere di autogoverno corporativo ben superiore a quello previsto dalla nostra Costituzione.

I referendum che arriveranno al voto in primavera – a partire da quesiti molto specifici e certo non esaustivi delle emergenze del sistema giudiziario – potranno essere l’occasione per mettere al centro della discussione pubblica l’esigenza di una giustizia a misura dei cittadini e dei loro diritti e non dei magistrati e dei loro poteri.

DIFENDERE L’ITALIA, DIFENDERE L’EUROPA

Occidente ed Europa sono i pilastri del nostro edificio nazionale. Lo straordinario sviluppo del nostro Paese nella seconda metà del Novecento è stato il frutto dell’impegno e della creatività del popolo italiano, ma è stato reso possibile dalla collocazione occidentale e dall’integrazione europea.

Negli ultimi anni, l’Unione Europea ci ha permesso di reggere all’urto delle crisi economiche e della pandemia. Nel mondo sempre più globalizzato e interdipendente, l’Europa resta il faro dei diritti politici e sociali, dell’ambiente, della salute e della giustizia.

L’integrazione europea deve essere rilanciata e fare un ulteriore salto di qualità perché solo un’Europa più forte, in una rinnovata alleanza atlantica, potrà reggere la competizione globale sui grandi temi: tecnologia, ricerca, energia, capitale umano e flussi migratori. In uno Stato federale europeo, l’Italia è una protagonista naturale, oltre che l’avamposto culturale e geografico nell’area mediterranea.

Un’Europa più integrata è un’Europa più forte ed autonoma, ma questo processo implica l’assunzione di una responsabilità diretta e comune da parte degli Stati membri dell’Ue sui temi della difesa e sicurezza, che l’instabilità crescente ai confini dell’Ue rendono ineludibile. La totale dipendenza militare da Nato e Stati Uniti, che pure rimangono alleati indispensabili, per l’Unione europea e per i Paesi membri non è più un risparmio economico, ma un costo politico insostenibile.

Per le stesse ragioni, una politica energetica europea che renda tutti i Paesi membri meno dipendenti dalle forniture dei produttori e, in particolare, dalla Russia, oltre a ridurre i costi di approvvigionamento, riduce la vulnerabilità e la ricattabilità delle nostre democrazie.

PARTECIPAZIONE DAL BASSO

Lanciamo una nuova iniziativa politica. Un movimento che parte dal basso, da idee, energie e impegno di tanti. Un movimento che recuperi il contatto con le persone e sia aperto alla partecipazione dei giovani, delle donne e degli uomini che hanno a cuore il loro Paese.

Ci rivolgiamo alle persone di tutti i settori dell’impegno civico, sociale e politico. Del mondo del lavoro, delle imprese, della scuola, della ricerca, dell’arte. Deve unirci la necessità di superare la rassegnazione a cui l’antipolitica e la cattiva politica hanno portato la maggioranza degli italiani, l’urgenza di riscatto di un Paese che merita di più, che sappia modernizzarsi con riforme coraggiose e profonde.

Puntiamo sul patrimonio umano, civile, sociale e culturale, sulle intelligenze e sul sistema produttivo dell’Italia per una nuova stagione di sviluppo diffuso e sostenibile. L’Italia ha in sé tutte le risorse per rilanciare il sistema socioeconomico, rigenerare aree e settori depressi, sostenere i più fragili, tutelare i diritti e valorizzare le esperienze di partecipazione e cittadinanza attiva, dall’associazionismo al terzo settore.

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