LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA PER LA RIPRESA DELL’ITALIA
L’amministrazione della giustizia è stata negli ultimi decenni al centro dei più violenti scontri di potere e ai margini di qualunque serio progetto di riforma. Eppure l’inefficienza e l’inaffidabilità del sistema giudiziario, di cui i tempi dei processi rappresentano solo la manifestazione più eloquente, costituisce una delle ragioni fondamentali del declino economico italiano.
D’altra parte in Italia sono incerti i tempi e i modi della giustizia, perché sono molto spesso incerte e contraddittorie le norme che il potere giudiziario è chiamato ad applicare. L’arbitrarietà della giustizia compromette l’effettività dei diritti riconosciuti ai cittadini e comporta conseguenze negative su ogni forma di attività economica e sociale, che debba ricorrere per la propria tutela a una forma di giurisdizione. Questo spiega perché al PNRR siano state collegate una serie di riforme dell’ordinamento giudiziario, del sistema processuale e dell’organizzazione degli uffici (personale, edilizia e digitalizzazione). La ripresa dell’Italia è indissolubilmente legata alla riforma della giustizia.
Procedere rapidamente su questi dossier, in cui, per ammissione della Ministra Cartabia, l’Italia ha assunto impegni inferiori a quelli richiesti dalla Commissione Ue, significa anche affrontare il tema della autoreferenzialità e irresponsabilità del potere giudiziario, che, al riparo dei principi di autonomia e indipendenza, rivendica da anni un potere di autogoverno corporativo ben superiore a quello previsto dalla nostra Costituzione.
I referendum che arriveranno al voto in primavera – a partire da quesiti molto specifici e certo non esaustivi delle emergenze del sistema giudiziario – potranno essere l’occasione per mettere al centro della discussione pubblica l’esigenza di una giustizia a misura dei cittadini e dei loro diritti e non dei magistrati e dei loro poteri.
pericolo che le organizzazioni criminali intercettino e riciclino i fondi nazionali ed europei per il rilancio del Paese, sottraendoli di fatto alle famiglie, alle imprese e ai lavoratori italiani, tutta l’azione per la crescita va immaginata contemporaneamente anche come azione di contrasto alla criminalità organizzata.
È impossibile promuovere lo sviluppo sostenibile delle attività industriali, del tessuto produttivo inteso in senso lato e delle libere professioni in un contesto di insicurezza, povertà educativa e concorrenza sleale delle attività illecite.
Per questo motivo il nostro Paese ha bisogno di una classe dirigente che non tratti l’antimafia come argomento da convegni, orpello da cerimonie o retorica identitaria, ma come stella polare dell’azione politica. La presenza diffusa della criminalità organizzata nel tessuto sociale ed economico italiano rappresenta infatti il più pericoloso ed evidente disincentivo alla crescita delle nostre comunità.
Costruire un Paese all’altezza delle grandi sfide dei nostri tempi significa dunque in primo luogo combattere, circoscrivere e progressivamente marginalizzare la presenza criminale nella società e nell’economia legale. Se le mafie mettono al centro il denaro, un modello antimafia mette al centro le persone. Se la mafia promuove “cartelli” e genera concorrenza sleale, alterando il mercato, un modello politico antimafia promuove la trasparenza, la piena e diffusa legalità e regole chiare di accesso al mercato per tutti.